Pubblicato il: 09/03/2022
L’assegno di natalità, meglio noto come "Bonus Bebè", è un assegno mensile destinato alle famiglie per ogni figlio nato, adottato o in affido preadottivo. L’assegno è annuale e viene corrisposto ogni mese fino al compimento del primo anno di età o del primo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito di adozione o affidamento preadottivo.
La domanda può essere presentata dal genitore che abbia:
- cittadinanza italiana, di uno Stato dell’Unione europea o permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o carta di soggiorno per familiare di cittadino dell’Unione europea (italiano o comunitario) non avente la cittadinanza di uno Stato membro o carta di soggiorno permanente per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro. Ai fini del beneficio ai cittadini italiani sono equiparati i cittadini stranieri aventi lo status di rifugiato politico o lo status di protezione sussidiaria;
- residenza in Italia;
- convivenza con il figlio.
Tale strumento di provvidenza sociale trova il proprio fondamento costituzionale nell’art. 31 Cost., per cui la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose e protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
Tanto introduttivamente chiarito, occorre chiedersi se a questa provvidenza possano avere diritto anche gli stranieri extracomunitari non titolari del permesso di soggiorno UE di lungo periodo. Ebbene, a tale quesito ha recentemente fornito risposta la Corte costituzionale, con sentenza n. 54 del 4 marzo 2022.
Nello specifico, con la citata pronuncia, la Consulta ha evidenziato
- che le disposizioni che prevedono il bonus bebè (cioè l’articolo 1, commi 125-129, legge 23 dicembre 2014, n. 190) escludono i cittadini extracomunitari privi del permesso di lungo periodo dal novero dei soggetti aventi diritto agli emolumenti;
- che la CGUE, con sentenza del 2 settembre 2021, ha risposto ai quesiti formulati dalla Consulta con rinvio pregiudiziale affermando l’incompatibilità delle norme italiane a) con l’art. 34 della Carta di Nizza sul diritto all’assistenza sociale; b) con l’art. 12 della Direttiva UE n. 2011 del 1998, che prevede la parità di trattamento tra cittadini comunitari e dei paesi terzi.
Ciò rilevato, i Giudici delle Leggi hanno allora affermato l’incostituzionalità delle norme interne rilevando che esse “istituiscono per i soli cittadini di Paesi terzi un sistema irragionevolmente più gravoso, che travalica la pur legittima finalità di accordare i benefici dello stato sociale a coloro che vantino un soggiorno regolare e non episodico sul territorio della nazione” e che“un siffatto criterio selettivo nega adeguata tutela a coloro che siano legittimamente presenti sul territorio nazionale e siano tuttavia sprovvisti dei requisiti di reddito prescritti per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Un sistema così congegnato pregiudica proprio i lavoratori che versano in condizioni di bisogno più pressante».
La tutela della maternità e dell'infanzia, dunque, non può tollerare distinzioni arbitrarie e irragionevoli.
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